L’Africa tra colori, maschere e tessuti: l’artista Koffi M. Dossou si racconta

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Sono 43 anni che Koffi si trova a Perugia, città che lo ha conquistato per essere fatta – a suo dire – a misura d’uomo. Ma Koffi Mahouley Dossou è africano, nato a Zinder, in Niger, nel 1953. Conosce il capoluogo umbro perché a ventisei anni ottiene una borsa di studio per frequentare l’Accademia di Belle Arti, il cui diploma gli ha permesso di entrare nel mondo della grafica. Da allora ha deciso di rimanere in Italia, e oggi lavora come pittore, grafico, web designer, consulente e docente in comunicazione visiva e interculturale.

Koffi vive d’arte. Ama l’arte. Ma ancora di più, vive e ama la sua terra, anche trovandosi oggi lontano. Dopo l’infanzia nigerina, Koffi ha vissuto in Togo, città natale di suo papà, dove ha passato gran parte della sua adolescenza: dunque, un bel mix di culture che trasmette attraverso le sue opere, che richiamano la ricchezza del patrimonio africano nelle sue diversità. A iniziare dalla tecnica pittorica: è quella della tempera acrilica, o dei pennarelli, che utilizza sui tessuti caratteristici africani. In realtà, negli anni, il suo stile si è modificato, come lui stesso afferma: “I miei colori sono diventati molto più sgargianti e le forme molto più definite”.          Ciò che non è cambiato è il messaggio che Koffi vuole portare: “La sento come mia missione: voglio valorizzare le mie tradizioni e dare loro visibilità su scala internazionale”.

Lo stile Voodoo è la sua ispirazione: “Non è quello che pensa la gente: il cinema l’ha demonizzato. Gli europei non conoscono questo nostro lato: è il lato spirituale, è una filosofia di vita che ci porta a considerarci parte di un universo”. Attraverso le sue opere si incontrano i mondi che Koffi vive: culturale, artistico e spirituale. Mondi che lo affascinano, ma che allo stesso tempo lo portano a vivere sensazioni di profonda gratitudine: “Quando dipingo mi sento libero”. La tranquillità che deriva da questa condizione si sprigiona quando accosta i colori, quando li miscela tra caldi e accesi, quando crea ombre di chiaroscuro, quando realizza maschere e sagome con portamenti animisti che traducono la forza e il potere dell’Africa. Koffi sente l’esigenza di far conoscere la sua arte, anche a Perugia, città che lo ha accolto, che lui definisce “molto bella, ma difficile” e forse non ancora completamente pronta ad aprirsi al diverso. Le sensazioni di piacevolezza e di pienezza arrivano a Koffi sin da piccolo, al punto che vengono notate da un amico del padre, che decide di comprare un suo quadro. “Avevo solo sei anni. Avevo disegnato un villaggio, come disegnano molti bambini. Ma lui in me aveva visto qualcosa: mi disse che il disegno era molto complesso per la mia età”. Koffi passa la sua giovinezza tra linee, colori e tanto studio. Al liceo crea un gruppo di disegnatori con alcuni suoi amici e insieme si riuniscono in un’aula scolastica a fine delle lezioni per dar forma alla loro arte. L’appoggio dunque gli viene dalla scuola, ma anche dalla famiglia che non gli ha mai negato, né a lui né ai suoi altri cinque fratelli, di realizzare i propri sogni. E Koffi ha iniziato così a realizzare i suoi progetti. 

Di recente, ha presentato la sua mostra di pittura dal titolo ‘I colori della tradizione’ nel quadro della rinomata Biennale di Dakar al Caffè del Teatro Morlacchi di Perugia.

Ma l’artista è stato anche selezionato per rappresentare l’Italia nella manifestazione ‘Off’ della 14esima edizione della Biennale dell’Arte Africana contemporanea che si tiene attualmente in Senegal e che coinvolge 95 artisti da 28 Paesi. “Mi piacerebbe molto esporre al MoMa di New York – uno tra i musei più importanti al mondo dedicati all’arte moderna e contemporanea, al design e ai nuovi media – Vorrei trasportare e far conoscere la mia arte”.

 

Arianna Sorrentino