Il ritorno della Pala

1864

L’Europa è sempre stata un grande mare in tempesta come un perenne Sturm und Drang ottocentesco, ed è proprio in questo secolo che un simil rivoluzionario, Napoleone Bonaparte, cambiò le sorti del continente. Guidato dalla sete di potere e dagli ideali romantici, introdusse il codice civile, pose al centro della società l’educazione scolastica e rincorrendo alcuni dei principi della Rivoluzione Francese proclamò la laicità dello Stato. Questa figura enigmatica di fine Settecento, vero principe macchiavellico, mirava a trasformare Parigi nella capitale del suo grande impero, una nuova Atene, un nuova Roma.

Come ogni dominio che si rispetti, l’affermazione del potere passava anche attraverso la bellezza dell’arte. E dove trovarla se non nelle opere dei paesi conquistati? Napoleone durante il suo impero fece razzia delle migliori sculture, di antichi manoscritti e meravigliosi dipinti fiamminghi, italiani e non solo. Queste consistenti depredazioni sono state denominate Requisizioni o Spoliazioni. Le requisizioni furono due, quella di Jacques-Pierre Tinet del 1797 e quella di Dominique Vivant Denon nel 1811/12: Tinet e Denon erano esperti d’arte scelti da Napoleone per decidere quali opere fossero meritevoli di entrare in Francia e quali no. Una volta rubate le opere venivano destinate al Louvre, appena diventanto il museo che oggi conosciamo. Le opere prelevate dall’Italia furono 500 e alla caduta dell’impero napoleonico solo 248 tornarono a casa. Alcune di esse prima di lasciare il suolo natio giacevano ricoperte di polvere in angoli abbandonati, nessuno poteva ammirarle, nessuno poteva osservare la perfetta prospettiva o innamorarsi di corpi di Cristi seminudi o anche immaginare di toccare con mano i vestiti dipinti in maniera così perfetta che sembravano l’ante litteram del 3D.

L’imperatore francese aveva capito che i giovani del suo Paese potevano diventare grandi studiando le opere dei migliori, proprio come fece Raffaello con il suo maestro Pietro Vannucci. Fu proprio il Perugino a essere nel mirino della prima requisione, preferito ad altri da Tinet. Pietro di Cristoforo Vannucci, in arte Perugino, nasce a Città della Pieve intorno al 1448, le sue opere oggi sono conservate nei vari musei d’Europa ma la sua casa rimane la Galleria Nazionale dell’Umbria, che al suo lavoro dedica grandi spazi. Al terzo piano della GNU, nella sala 23, il visitatore può ammirare una cimasa raffigurante l’immagine di Cristo nel sepolcro, dipinto dal Vannucci a cavallo fra ‘400 e ‘500. L’opera, di una delicatezza inaudita, non si sofferma sulla sofferenza tipica della passione, ma pone l’attenzione sul futuro riposo, tanto agognato da trasformare il dolore in dolcezza, la vita diventa leggera in prossimità del nuovo viaggio. La cimasa è compresa in un un’opera in due parti, la Pala dei decemviri, prelevata dai francesi il 3 marzo del 1797. La seconda parte dell’opera raffigura La Madonna col Bambino e i santi Lorenzo, Ludovico di Tolosa, Ercolano e Costanzo, il dipinto recuperato da Antonio Canova nel 1815 è conservato a Roma fra i muri della Pinacoteca Vaticana.

Antonio Canova, il Fidia Italiano dell’Ottocento, dopo la caduta dell’impero napoleonico fu incaricato dal potere papale di riportare in Italia le opere trafugate dalle armate francesi. Lo scultore sentiva il peso della missione da compiere ma il risultato che ottenne con il recupero parziale andò ben oltre quello che aveva sperato. Grazie alla sua fama nell’ambiente culturale francese anche il dipinto del Perugino potè ritornare a casa.

L’opera conserva, proprio come la cimasa, una forte bellezza e delicatezza, la Madonna con la sua mano soave protegge il sesso del bambino, come se protegesse non solo lui ma l’intera futura umanità, frutto della purezza che verrà dal sacrificio di suo figlio. Costeggiata dai santi sopracitati, madre dell’umanità, si erge sensibile su uno sfondo umbro di essenziale bellezza. I protagonisti raffigurati convergono lo sguardo in punti diversi, ci perdiamo e ritroviamo fra di loro, con un San Costanzo che sfonda la quarta parete e ci ricorda che fu proprio lui a essere il primo vescovo della città di Perugia. Osservando questo dipinto pensiamo a quanto sia incomprensibile la poca fortuna avuta dal Perugino nella letteratura del tempo e nelle guide per viaggiatori, non a caso le sue opere una volta arrivate in Francia furono destinate ai musei dipartimentali periferici, e lui rimase all’ombra del suo allievo Raffaello. Il riscatto della bellezza non si fa mai attendere e le opere del Perugino, oggi, sono ammirate in tutto il mondo e conservate come dei veri tesori di un grande artista, gloria della sua città. E dopo tutto il tempo passato la Pala dei decemviri tornerà nei mesi invernali a scaldare le sale della Galleria nazionale dell’Umbria e potrà ricongiungersi con la sua cimasa a partire dal 10 ottobre 2019 fino al 26 gennaio 2020.

Federica Magro