Il Pronto Soccorso dell’Arte

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Valentina Proietti
Esterno del Deposito

Il Deposito delle Opere d’Arte di Spoleto è un luogo suggestivo, intriso della nostra storia e della nostra cultura. Da fuori sembra un classico capannone come tutti gli altri che lo circondano, poiché si trova nella Zona Industriale di Santo Chiodo, ma appena si entra si viene immersi da un clima di devozione e di rispetto proprio dei luoghi di culto. Ho intervistato la responsabile della struttura, la sig.ra Tiziana Biganti che mi ha illustrato il Centro operativo per la conservazione, la manutenzione e la valorizzazione dei beni storico-artistici e ciò che viene fatto all’interno di esso.

La  Regione Umbria ha realizzato questo luogo con un progetto di “Programma Quadro” in collaborazione tra Regione, Ministero e Comune di Spoleto, la cui proprietà dell’edificio appartiene alla Regione. La Regione al momento dell’evento ha sottoscritto una sottoscrizione con il Segretariato Regionale del Ministero Beni e Attività Culturali per la gestione del luogo. Dal 2016 è il Ministero a gestire le attività che si fanno qua, prima attraverso il Segretariato Regionale poi la Sovrintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio, “non siamo più dal gennaio di questo hanno nella fase di emergenza per cui tutto questo patrimonio afferisce alla Sovrintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio, alla quale la Diocesi che è proprietaria di gran parte di questo patrimonio, ha delegato le attività di tutela: la messa in sicurezza delle opere mobili e della individuazione e ricomposizione del patrimonio monumentale e frammenti”.

Il Centro era pronto nel 2008, ma accoglieva soltanto materiale archivistico di deposito della Regione Umbria. È una struttura che nasce per il ricovero, la messa in sicurezza del patrimonio culturale in caso di calamità, che dopo le scosse sismiche dell’agosto 2016 si è resa congrua e ancor di più dopo la scossa dell’ottobre. L’obiettivo del centro è di mettere in sicurezza le opere danneggiate, offrendole la migliore accoglienza. Messa in sicurezza da intendere come un ricovero in un unico luogo delle opere che rischiano la dispersione, al fine di bloccare il loro degrado. Si lavora per stabilizzare l’opera e proteggerla, in modo tale da poter attendere senza ulteriori danni al restauro vero e proprio.

Le opere hanno bisogno di un clima adeguato, sostenuto da un ambiente climatizzato e da sistemi di sicurezza che permettono la tutela di tali beni. Troviamo anche una camera anossica, utile alla conservazione di quei reperti che sono colpiti da muffe e batteri. Come sottolinea la sig.ra Biganti “la nostra missione è quella di conservare temporaneamente le opere, cercando di recuperare questo patrimonio e non disperderlo, ma recuperarlo per riportarlo da dove lo abbiamo recuperato, perché è un patrimonio di quelle comunità e va restituito. È una ricchezza che va restituita e fuggiamo dall’idea di costituire un luogo di carattere freddo come un museo, dove tutte le opere hanno perso la loro connotazione originaria per sviluppare solo un interesse storico-artistico o ancor peggio economico”.

È un luogo da valorizzare al meglio ma allo stesso tempo deve essere tutelato adeguatamente, essendo  un grandissimo contenitore di opere d’arte, del quale si è avuta la consapevolezza di un patrimonio così vasto soltanto dopo il terremoto del 2016. È un luogo sensibile da rispettare, che nonostante gli efficienti sistemi di sicurezza, non è facile aprire a chiunque passi per Spoleto.

Le aperture al pubblico ci sono sempre anche per le prossime Giornate del Patrimonio ci saranno delle aperture nei giorni festivi. Come afferma la responsabile “questo luogo non è chiuso perché è un luogo di lavoro, disponibile agli incontri e all’accoglienza ma dietro ciò ci dovrebbe essere una motivazione.” Alcune opere di particolare devozione, importanti per la devozione popolare, vengono prelevate temporaneamente per le celebrazioni religiose, in base ad accordi che sono stati fatti con la Curia per “permettere alle comunità del territorio, ai devoti, di ‘riappropriarsi’ del santo, della figura religiosa”. Questo patrimonio al 99% proviene da edifici sacri, chiese, monasteri e “ha una valenza preponderante che è quella devozionale”. Si è cercato di rispettare questa valenza, anche se può sembrare in contrasto con quella che è l’attività di conservazione, visto che l’aspetto sacro nel territorio umbro è ancora molto vivo e hanno voluto non contrastare l’esigenza legittima dei cittadini. “Le comunità hanno la priorità sui visitatori, possono venire per vedere le condizioni di questo materiale che fa parte della loro storia, è un materiale identitario che fa parte del loro essere”.

Al momento parliamo di 6.500 pezzi custoditi all’interno del Centro, in cui sono presenti frammenti lapidei di edifici crollati posti su dei bancali nominati e selezionati, tele e pale d’altare, come l’Incoronazione della Vergine di Jacopo Siculo che era situata nella ex-chiesa di San Francesco a Norcia. “Tutte le pietre che vengono fuori dalla selezione di materie che presentano caratteri storico artistici e scultorei vengono recuperati e portati qui e non lasciati nel cantiere perché potrebbero essere sottratti. È una forma di sicurezza ma anche una forma per poter lavorare per progetti di ricomposizione, per individuazione dei vari frammenti del contesto, ci sono state anche delle ricomposizioni in vista di un progetto di ricostruzione”. Tutt’ora si trovano opere sotto le macerie. Durante  la mia visita ho potuto assistere alla messa in sicurezza di una tela ritrovata tra le macerie della Chiesa di San Benedetto da Norcia, la quale aveva sopra di sé un masso, ritrovata accartocciata e che ora stanno minuziosamente ricomponendo.

Nel 2017 alla Rocca Albornoziana di Spoleto è stata allestita la mostra “Tesori della Valnerina” con alcune opere del deposito, proprio per dire “stiamo lavorando, non è che conserviamo e raccogliamo cadaveri. È stato considerato alla stregua di un ospedale, in cui uno va per essere curato. È un pronto soccorso in cui si opera immediatamente per stabilizzare il malato poi può essere curato e risanato al di là della fase di emergenza” sostiene T. Biganti.

I resti appartengono a 7 comuni della Valnerina dell’area umbra e sono una testimonianza di grande sedimentazione della cultura, che vanno dall’VIII secolo a.c. dai reperti archeologici fino ai nostri giorni, precisamente fino al secolo scorso. L’edificio è completamente pieno, difatti se malauguratamente dovesse capitare un’altra catastrofe naturale non saprebbero dove posizionare le opere, ed è uno dei pochi luoghi nel mondo che hanno avuto una vita così attiva dal punto di vista culturale, economico, religioso, etico come nessun altro. “Il nostro patrimonio è identitario e dobbiamo valorizzarlo e non snaturalizzarlo. Queste sono opere che hanno vissuto e sono nate per volere della gente che le ha volute ardentemente, che ha fatto scelte condivise con le comunità. Sono la testimonianza della vita e della cultura della comunità e non del personaggio soltanto”.

Questo Deposito è l’unico in Italia così concepito “non mi arrischierei a dire nel mondo, però sono venute delegazioni da tutto il mondo per rendersi conto di questa struttura, quindi siamo un elemento che potrebbe dare delle indicazioni a tutti e ci rende ansiosi del fatto che dobbiamo gestirlo al meglio”. Gli operatori fissi sono pochissimi, 3 o 4, perché qua agisce personale che è stato identificato di restauro che agisce grazie a progetti finanziati da fondazioni. Diretti sotto la protezione dell’Istituto Superiore del Restauro e dell’ Opificio delle Pietre dure di Venaria Reale, “che sono scuole di prestigio mondiale che hanno elaborato i loro progetti e trovato finanziamenti soprattutto da fondazioni bancarie, che si sono dedicati a supportarci per svolgere quest’importantissima attività. Se non fosse per questo saremmo stati un deposito che necessita di interventi che non avremmo potuto fare sia dal punto di vista finanziario sia dal punto di vista tecnico”.

Conclude la responsabile “siamo qui con un’unica speranza, che inizi il prima possibile la fase di restituzione di tutto il patrimonio all’interno del deposito, che dipende dalla ricostruzione delle componenti monumentali della zona, che non sarà facile”. I fattori che entrano in ballo nella ricostruzione dei territori colpiti dal sisma sono molti, anche noi ci auguriamo che la Valnerina torni a splendere più di prima e ancor di più che tutte le opere tornino nella loro casa, nella loro comunità.

Valentina Proietti