Il New Yorker è un periodico statunitense nato nel 1925 e molti scrittori e poeti, come J. D. Salinger o Vladimir Nabokov, sono stati pubblicati su queste pagine prima di finire fra gli scaffali di una libreria. Anche in Italia quotidiani e riviste specializzate hanno dedicato, ieri come oggi, spazio alla lirica e alla narrativa, cambiando le sorti di chi narra o compone versi. Seguendo questo flusso letterario si è scelto di dare spazio a due componimenti e alla storia di un giovane poeta di Terni.
Non è John Keats e non è nemmeno Percy Bysshe Shelley, non è Walt Whitman e nemmeno Allen Ginsberg, non è Dino Campana e nemmeno Valentino Zeichen. È un poeta a nessun altro paragonabile. Per ora non ha scelto pseudonimi e porta il nome che ha ricevuto alla nascita: Jacopo Santoro.
resiste ancora il bramito scrosciante
il rumore d’un divenire sempre
imperfetto nella sua sospensione
e se sembrava nei mesi di secca
tacere la cascata nei suoi rivoli
spettrali – quanto piccole parevan
le storie cantate dal flusso in luglio –
con sillabe silenti eppur parlava
Nato nel 1995 e cresciuto nel contesto di una Terni underground, Jacopo Santoro è legato alla sua terra in maniera indissolubile. La sua opera è specchio di questo filo invisibile che lo lega alle sue origini e alla natura indomita della valle attraversata dal fiume Nera, la Valnerina. Ha le caratteristiche di un guerriero greco, naso pronunciato, capelli lunghi e ricci e fisico scolpito, insomma dall’antica Grecia ha avuto tutto, corpo e anima. Ha scritto la sua prima poesia a quattordici anni, su spinta della professoressa Virginia Coco, quando frequentava il liceo classico Gaio Cornelio Tacito. Dopo la laurea in Lettere Moderne all’Università degli Studi di Perugia e dopo aver conseguito la laurea in Filologia Moderna all’Università degli Studi di Padova, ha fatto ritorno a Terni, dove insegna storia e latino al liceo scientifico Renato Donatelli. É impegnato come collaboratore editoriale per Metaphorica – Semestrale di Poesia, aiutando nella scelta e nella valutazione dei testi da accogliere o meno nella rivista. Nel prossimo numero comparirà un suo intervento nel quale cercherà di analizzare un’opera poetica di Tommaso Landolfi.
Nel corso degli anni la sua poetica, in origine individualista, ha mutato forma, infatti racconta: “Ho vissuto per molto tempo la poesia come un modo espressivo che consente, a chi lo pratica, di entrare in contatto con il proprio subconscio, con quelle parti di noi che ci rimangono precluse al di fuori del sogno. Per lungo tempo l’ho praticata quasi esclusivamente in questo senso. Oggi riesco a intravedere un significato collettivo e quindi cerco di esporre queste esperienze, apparentemente individuali, per farle risuonare con quella parte nascosta dell’altro. Vedere se quelle parole che per una determinata individualità significano qualcosa possano trovare parte nel corpo e nell’esperienza altrui”.
Questo cambiamento è il frutto del ritorno, dopo anni di studio fuori, nella sua città. Jacopo ha sempre considerato Terni una culla della controcultura, con centri di aggregazione come il Csa Germinal Cimarelli e il Centro Di Palmetta, che hanno consentito ad artisti di esporsi e esporre le proprie opere. Questo solo fin quando la pandemia ha reso spento il presente della città.
“Penso che la poesia oggi si debba impegnare a realizzare delle comunità di emozioni e di pensiero. Ecco perché la mia poesia tenta di costruire anche una linea di pensiero pseudo filosofico in stato embrionale”, spiega Jacopo, che ha fra gli obiettivi quello di far rivivere, insieme alla collettività, la Terni del passato.
carezzi ancora
povera bestia spersa
quel dissolversi maturo
delle olive cadute ai piedi stanche
dei filari – ora che in questa selva
di norme di rovi
le immagini dell’albero
– Il canto di una vita
Dal claustro dell’etere –
fuggono l’avvicinarsi del dente
cheta l’acqua ti attende
oltre le fronde e le spine
nella morta è la promessa
l’incontro
con le immagini nello specchio
non più d’altri ma di te stesso
Jacopo, come forse ogni essere umano, ha una natura ambivalente e all’animo cittadino delle acciaierie fumanti si aggiunge un animo contemplativo da torrentista nella Valnerina e in quello che il poeta considera “una piccola gemma che il Centro Italia ci ha regalato”, il torrente Fosso Campione di Prodo, nel comune di Orvieto.
“Entrambi i miei genitori praticavano torrentismo, alpinismo e speleologia, tutti sport che ho ignorato fino ai vent’anni e che poi sono tornati improvvisamente. Prima pensavo che una vita dedicata allo studio non potesse combaciare con questa attività sportiva, oggi invece rappresenta una parte fondamentale della mia persona. Non è un caso se le figure naturali sono molto presenti nei componimenti che ho scritto e rappresentano, a mio dire, un riscatto dell’uomo nel ritorno alla natura” racconta Santoro, sempre pronto a scalare ripide rocce rinunciando al candore delle mani da poeta per conquistare quelle callose di un avventuriero.
Poesie di Jacopo Santoro
Testo di Federica Magro