“Umana cosa è l’avere compassione degli afflitti,
e come che a ciascuna persona stea bene,
a coloro è massimamente richesto
li quali giá hanno di conforto avuto
mestiere ed hannol trovato in alcuni;
tra li quali, se alcuno mai n’ebbe bisogno
o gli fu caro o giá ne ricevette piacere,
io sono un di quegli.“
Decameron
Giovanni Boccaccio
Più citato delle canzoni di Calcutta, più famoso delle mise di Achille Lauro, più maleducato di Morgan e Bugo, ai tempi del Coronavirus la super star è una soltanto: Giovanni Boccaccio. Con il suo Decameron entra nelle case degli italiani in quarantena e a gran voce ricorda: “Amici, abbiamo passato momenti peggiori, la peste nel’300 era un tantino più antipatica del nostro nemico COVID-19, in faccia ti finivano direttamente il pus e il sangue delle bolle della peste, altro che mascherina e Amuchina”. Il premier sex symbol Giuseppe Conte annuisce afflitto senza abbandonare la sua grande dose di speranza.
Sui social, che mai come in questi giorni hanno donato conforto all’animo umano, sono tantissime le iniziative dedicate al grande e immortale classico della letteratura italiana. Festival letterari virtuali come Decameron-una storia ci salverà, un incontro digitale con autori che presentano le loro opere o quelle di terzi in diretta live su Facebook. E poi diversi gruppi di condivisione, ad esempio Decameron–storie e antidoti per una buonanotte, dove si può essere narratori o ascoltatori a partire dalle 21.30 ogni sera, magari sorseggiano un buon bicchiere di vino rosso oppure una profumata tisana ai frutti di bosco.
Il più grande omaggio nasce dalla mente di giovani ragazze e ragazzi del borgo medievale di Bevagna: il Decameron 2.0, un’entusiasmante pagina presente su Facebook e su Instagram, vede 100 artisti pronti a leggere tutte le novelle dell’opera, pubblicandone una ogni ora per dieci giorni. Oltre le singole novelle, troviamo anche video introduttivi dedicati alla cornice del Decameron, quella parte di narrazione estrapolata da fatti realmente accaduti e pestilenze realmente esistite. La pagina in questione è uno scrigno colmo di gente appassionata e talentuosa che mette la propria arte a disposizione degli altri. Direi che per gli studenti di lettere che si accingono a preparare l’esame di letteratura medievale è un gran bel ripasso, possono lautamente affermare di aver letto l’intero Decameron, non è certamente cosa da tutti.
Dunque a riportarci indietro a vecchie pandemie ci pensa Giovanni Boccaccio, che dalla peste del 1348 ordì la trama per uno dei capitoli più belli della storia della letteratura italiana. Boccaccio nasce nel 1313 forse a Certaldo forse a Firenze, figlio di un ricco mercante fiorentino, si rivela uno Xavier Dolan ante-litteram, ovvero un enfant prodige, però della letteratura. A Napoli frequenta quei salotti aristocratici alla Barry Lyndon, presumibilmente allietati dall’alcol, dalla poesia e dalla rispettiva compagnia fra uomini e donne o gender o non binary, chi può dirlo. Proprio a Napoli incontrerà la donna che nelle sue opere porta il nome di Fiammetta. Il ritorno nelle sue terre sarà doloroso, ma intensificherà il lavoro portando a termine molte opere. Una bella costrizione anche la sua, dalla movida napoletana alla tristezza di stare a casa durante il fine settimana, vi ricorda qualcuno?
Boccaccio sopravviverà al padre, alla matrigna e a molti amici, tutti morti a causa della peste. I normali rapporti sociali non esistono più, travolti dall’inconsueto destino della pandemia, tutti sono uguali e la morte non fa differenza fra la donna povera o ricca, o l’uomo giovane o anziano. Quanto a lui, morirà nel luglio del 1374 per cause naturali.
La sofferenza per la peste, ormai passata, si tramuterà nell’opera che noi tutti conosciamo, il titolo è coniato dallo stesso Boccaccio che unisce due parole greche: “dieci-giornate”. Nell’introduzione viene descritta la pestilenza con tanto di cadaveri che riempiono le strade della città di Firenze. Le nostre di strade, fortunatamente, sono vuote, rimangono solo i maledetti piccioni che alla fine della quarantena comanderanno, quando usciremo affermeranno il loro potere svuotando le loro viscere sulla nostra testa.
La cornice dell’opera è espediente narrativo che permette di unire insieme le novelle. Dunque sette donne e tre uomini, giovani, della trecentesca Firenze per bene, decidono di allontanarsi dalla città per evitare il contagio, si recano nelle ville che hanno in campagna e scelgono fra di loro, ogni giorno, un re o una regina che decide cosa sarà della loro giornata. Fra musica, ballo, canto e chissà cosa ancora, la loro attività preferita è raccontare novelle, una ciascuno per dieci giorni, un totale di cento. Un po’ come avranno fatto in questi giorni i giovani pariolini riunitisi nelle ville a picco sull’Argentario, ma, si presume, non per cantar novelle.
Fra sesso e cupidigia, fra amore e dolore, scappatelle notturne, frati un bel po’ imbroglioni e teste mozzate che diventano piante di basilico, Boccaccio con le sue storie si fa largo con alterigia nell’età contemporanea. Se il tema della peste ricorre nella tradizione occidentale dai tempi di Tucidide e Lucrezio a quelli di Manzoni e Camus, noi cambieremo la storia della letteratura, forse scrivendo grandi opere sul virus che oggi tutti, o quasi, stiamo affrontando RESTANDO A CASA.
Di Federica Magro
Illustrazioni Sasha Todini