C’era una volta un cartone animato

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Custodite nelle case dei più nostalgici, in cassetti o armadi aperti una volta all’anno, ci sono ancora quelle preziose videocassette che facevano la felicità dei più piccoli. Le VHS, acronimo di Video Home System, avevano al loro interno un nastro magnetico e per guardarle era necessario inserirle nel videoregistratore collegato al televisore. Spopolarono sul mercato intorno agli anni ‘70 e ci restarono fino agli anni 2000, sostituite poi dai DVD. Rappresentavano il regalo più agognato dai bambini e sotto l’albero di Natale o per il compleanno la videocassetta non poteva mancare, era necessaria come l’aria. Se la zia più antipatica ti regalava un grande classico, come La Sirenetta o Il Re Leone, siate pur certi che da strega cattiva si trasformava in una fatina buona.
Le videocassette della Disney erano il vero miracolo, arrivate in Italia nel 1982, hanno sconvolto un’intera generazione. Quando il nastro partiva la luce blu colpiva i tuoi occhi, il castello appariva in tutta la sua bellezza e la musichetta da sogno ti entrava nella pancia, in quel preciso momento la bocca iniziava a salivare, le palpitazioni aumentavano e intorno a te non c’era più niente. Smetteva di esistere qualsiasi cosa, c’eri solo tu in quello spazio di colori, personaggi, di mondi fatati mai visti e nemmeno sognati.
Dopo aver consumato una VHS, che iniziava inevitabilmente a vedersi malissimo, la soddisfazione era altissima. I dialoghi li conoscevi meglio dei doppiatori, piangevi, ridevi, ti disperavi, il protagonista eri tu. Quando poi iniziavi a cantare le canzoni di Hercules o di Mulan, eri sempre tu, solo tu, a stare su quella Grande Muraglia o in cima al Monte Olimpo.
Emozioni costanti che sono cambiate e cresciute anche negli anni successivi, quando i cartoni erano ormai quelli trasmessi da Italia1. Iniziavano all’ora di pranzo e non finivano mai, tu dovevi studiare ma non volevi, preferivi Dragon Ball, Mila e Shiro, Holly e Benji, Occhi di gatto e ancora I Cavalieri dello zodiaco o Kiss me Licia.
Tutti noi abbiamo un cartone animato preferito, quello che ancora oggi provoca spasmi involontari, quelli di un’infanzia ai confini delle realtà. Per questo motivo, e perché ormai è chiara a tutti la forte nostalgia che ci ha colpito, abbiamo raccolto alcune storie di infanzie ormai lontane ma ancora magicamente nitide. 

Il gobbo di Notre Dame – 1996
Tan tan tan
Tan tan tan
Tan tan tan tan tan taaaan (Sono le campane di Notre Dame).
Se c’è un cartone animato che ha letteralmente segnato la mia esistenza è proprio Il gobbo di Notre Dame. Un po’ perché forse mi sentivo anche io un’emarginata, un po’ perché già avevo capito che mi sarei innamorata di Parigi, un po’ perché avvertivo fosse importante arrabbiarsi per le ingiustizie.
Dai tre ai dieci avrei consumato cinque videocassette del “gobbo”. Un po’ di tempo dopo i miei genitori mi avrebbero regalato il libro, perfettamente consapevoli che non me ne sarei mai più separata. Intendo letteralmente, dal momento in cui l’incipit di Notre Dame è ancora impresso con inchiostro nero sul mio braccio sinistro. Anni dopo ancora avrei sviluppato un’insolita curiosità (anche questa la porto ancora con me), quella per i cosiddetti “zingari”. Voglio precisare che nessun termine che li etichetti mi piace, non per una questione di bon ton, quanto per il loro essere totalmente liberi, e quindi, inetichettabili. Se c’è una morale dalla quale non vorrò mai separarmi è proprio quella della pretesa di “giustizia” (la stessa parola urlata da Esmeralda mentre Quasimodo è legato, deriso e imbrattato dalla testa ai piedi), soprattutto se il sistema in cui si vive emargina e stigmatizza chi è “diverso”.
P.S: a Granada, in Andalusia, c’è il Sacro Monte. È da dove viene Esmeralda.

La bella addormentata nel bosco – 1959
Il cartone animato che mi ha fatto scoppiare il cuore. Probabilmente La bella addormentata nel bosco. L’ho visto al cinema nel posto dove andavo al mare, ero molto piccola, avrò avuto cinque anni. Il cinema era bellissimo, una sala nel centro storico. Sono andata con i miei nonni e probabilmente era la prima volta che entravo dentro una sala cinematografica. La favola mi ha colpito tantissimo, il bosco che prendeva vita, la principessa che andava inconsapevolmente verso il suo destino, lampi colorati ad ogni gradino che saliva. La madrina ingannatrice e le madrine salvatrici. E ancora il bacio che salva e lei bellissima nel suo letto/bara. Tutto il castello addormentato. Non so dire esattamente perché ma tutto mi aveva colpito come se stesse parlando ad una parte di me e della vita a cui non ho mai dato nome.

Balto – 1995
“Non è cane, non è lupo”
Vi siete mai sentiti smarriti? Una telecamera panoramica che gira su se stessa in mezzo agli alberi, la fretta, il tempo che scorre, l’attesa e la follia. Era così che mi sentivo a 6 anni. Le prime scoperte e la familiarità acquisita con le cose della vita, alimentavano silenziose l’ansia di cambiare. Perso nella neve, come la prima volta che l’ho vista. Tempesta di latte. Un mondo di storie fantastiche e un fratellino nuovo da educare. A breve tutte le cose vecchie sarebbero state la sua novità, il suo primo amore. Io intanto guardavo a mio padre. Un giorno mi ha detto di sognare prima di andare a dormire. “Dopo aver dormito tutto può cambiare”. Sono diverse le volte in cui la sua guida ha modificato per sempre la mia infanzia. Ma forse la prima che ricordo è quella in cui mi ha comprato la videocassetta di Balto. Plastica trasparente marchio Universal. “Che marchio è?”, chiesi subito. I bambini sono dei consumatori attenti e inclini alla fidelizzazione, non era un cartone di Hanna e Barbera, non della Disney o della Warner e nemmeno la Stardust. “Questo è un film per bambini che crescono”, disse mio padre. “È il racconto di una nonna, compagna di viaggio, per chi si sente solo”, disse. “Non è cane, non è lupo. Sa soltanto quello che non è. Se solo capisse quello che è. “La voce di un amico, col suo accento russo, e per un attimo ero lì. Dopo aver perso le mie tracce lasciate sugli alberi. Resistenza, fedeltà, intelligenza. Trovare il coraggio di fare il primo passo per l’ennesima volta. Il brivido di ululare e sentire una risposta nel vento.
Dedicato a mio padre. Il lupo.

Le avventure di Peter Pan – 1953
“Dovete fare pensieri dolci e meravigliosi. Saranno loro a sollevarvi in aria”.
(J. M. Barrie, Peter Pan)
Peter Pan è intrigante, misterioso, magico, romantico, gentile e coraggioso. Invita i bambini a sogni leggeri e avventurosi. Ho guardato Peter Pan in cassetta così tante volte da far andare in tilt video registratore e nastro. Quanta magia, sognavo di essere Wendy, incontrare Peter Pan e rifugiarmi nell’isola che non c’è. La fantasia che vola alto e fa viaggi meravigliosi è un’esperienza irripetibile e unica. Questa sensazione di leggerezza e spensieratezza la sento ancora ripensando alla visione di quel cartone e la vedo ancora oggi in quel ragazzo vestito di verde contornato da luccichii di polvere magica.

Il re leone II. Il regno di Simba – 1998
Correva l’anno 1998 e mentre i pantaloni a zampa di elefante e le collanine tattoo choker spopolavano, le sale cinematografiche si preparavano a trasmettere Il Re Leone II. Frequentavo la prima elementare e le aspettative su quella pellicola erano per me altissime.
Per me che avevo pianto tutte le mie lacrime in seguito alla morte di Mufasa nel Il Re Leone I, per me che ancora, pervasa dall’ingenuità che solo l’infanzia può regalarti, quando vedevo quella videocassetta speravo in un finale diverso e mi trovavo a pensare “magari questa volta non morirà, non cadrà nella trappola tesa da suo fratello!”. Ma non accadeva mai, Mufasa precipitava nel dirupo e insieme a lui tutte le mie speranze. Quel Caino di Scar l’aveva vinta. Ma poi arrivavano loro, i miei preferiti, Timon e Pumbaa, e il clima cambiava totalmente. Dalla tristezza si passava all’amicizia, a quelle due semplici parole forti e soavi, “Hakuna Matata”, capaci, con un suono, di riportarti alla fiducia nei confronti del prossimo, alla serenità. E subito dopo un sentimento ancora più potente, l’amore tra Simba e Nala, tanto vigoroso da ribilanciare il karma del passato. Il Re Leone II non mi piacque quanto il primo, ma aveva chiuso un cerchio, siccome a ogni fine corrisponde un nuovo inizio o come dice la canzone “ogni vita lo sai che rinascerà, in un fiore che fine non ha”. Quell’autunno nel 1998 entrai per la prima volta in un cinema. Le poltrone erano morbide e per me, un’esile bambina di 6 anni, enormi! Ricordo ancora mio padre che faceva la fila alla cassa, il profumo dei pop corn e io che pensavo che quello fosse il posto più bello del mondo.

Lady Oscar – 10 ottobre 1979,  3 settembre 1980
Durante la rivoluzione francese, una rivoluzionaria che abbatte tutti gli stereotipi di genere. Ecco, Lady Oscar non solo mi ha aiutato a memorizzare le date e gli eventi che hanno segnato un cambiamento epocale che pose fine per sempre all’Ancien Régime inaugurando la modernità, ma ha fatto capire a una “Me bambina” che, a prescindere dal tuo genere, puoi essere chiunque tu voglia, e puoi fare quello che desideri, anche indossare abiti maschili e impugnare un fioretto. E non solo: rifiutando l’aumento di stipendio (o promozione, come si direbbe oggi) della regina Maria Antonietta, abbraccia la causa del popolo insorto contro il regime, abbandonando la corte reale e, in un certo senso, le sue nobili origini, per un ideale di uguaglianza e libertà. Oscar si libera così di tutti gli stereotipi e delle catene impostele per nascita, riuscendo ad autodeterminarsi come donna, costruendo la sua identità svincolata dal suo sesso. Tutto questo, chiaramente, per la “Me bambina” era molto più esemplificato, e solo da adulta sono riuscita a capire perché, ancora oggi, nelle mie battaglie quotidiane, mi trovo a citare Lady Oscar come esempio. Né Lady Oscar né noi dobbiamo sentirci sbagliati se il nostro modo di essere non combacia con il criterio restrittivo e a tratti degradante in certi contesti, di una femminilità che deve suscitare il desiderio eterosessuale degli uomini. Questo Andrè lo aveva capito bene. La femminilità è talmente soggettiva che anche un fioretto o una divisa possono essere femminili, perché rappresentano la persona che li indossa. 

Il gobbo di Notre Dame – 1996
Fatta la doverosa premessa per cui tutte le cassette Disney che mi venivano regalate le ho guardate fino a consumarle, e posto che amavo quelle storie super sessiste con i principi bellissimi e geniali da cui dipendeva il lieto fine, devo dire che da bambina ammiravo Esmeralda e sognavo di essere lei. Quasimodo: un piccolo bimbo relegato dal cattivo Frollo nella torre più alta di una cattedrale spettacolare. Esmeralda: femme fatale bellissima, sveglia, ballerina fenomenale, con gli occhi verdi (li ho anche io e l’immedesimazione era dietro l’angolo) è la vera eroina della storia. I gargoyle: simpaticissimi amici sinceri. La corte dei miracoli: come si fa a non sognare di essere nei sotterranei di Parigi insieme a una banda di gitani che si autogovernano e ballano e cantano in continuazione? Devo ammettere che ancora adesso mi vengono in mente delle scene e delle canzoni, che diciamoci la verità saranno per sempre impresse nei miei file cerebrali.

Pocahontas – 1995
Se proprio devo scegliere un cartone, Pocahontas forse è quello che mi è rimasto più nel cuore e lo ha “segnato”, perché è cresciuto con me. Da bambina, e poi da adolescente, questa principessa così diversa dalle altre, sia nell’aspetto che nei comportamenti per niente affettati, mi spronava ad accogliere tutte quelle piccole diversità e caratteristiche apparentemente indesiderabili, che ogni bambina o bambino a modo suo avverte nel crescere, penso. Oggi invece posso guardare Pocahontas ed estrapolare nuovi significati, più adulti e attuali, senza che perda in fascino e potenza. In effetti credo che Pocahontas sia attualissimo come pellicola animata: c’è il rispetto dell’uomo nei confronti della natura, che viene minacciata dall’avidità di un’altra fetta di umanità. C’è l’incontro fra culture e differenti etnie, che può portare all’amore o alla guerra a seconda dell’atteggiamento adottato. E poi c’è questa donna che davvero può a mio parere essere considerata un’incarnazione di una desiderabile indipendenza femminile. Ricordiamo che è uno dei pochi cartoni degli anni ’90 che non termina con un “vissero felici e contenti 2 classico. Pocahontas non cede né alle pressioni sociali (che la vorrebbero sposata al valoroso Kocoum), né a quelle dell’amore romantico (non segue John Smith in Inghilterra). Resta fedele ai propri valori e alla propria identità senza cederne neanche un pezzetto. Per me è stupendo.


Illustrazioni Stella Bastianelli
Testo Federica Magro
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